«Alcuni anni fa è morto Piotr D. Ouspensky, un grande matematico e filosofo russo: era l'unica persona, in questo secolo, che avesse fatto tanti esperimenti legati alla morte. Tre mesi prima di morire si ammalò gravemente. I dottori gli consigliarono di stare a letto, ma lui non li ascoltò e fece sforzi al di là di ogni immaginazione: di notte, invece di dormire, camminava, correva, viaggiava, era sempre in movimento. I dottori erano inorriditi. Dicevano che aveva bisogno di riposo assoluto. Ouspensky chiamò tutti gli amici più cari intorno a sé, ma non disse loro nulla.
ognuno ha il guru che si merita |
Gli amici che rimasero con lui quei tre mesi, fino alla sua morte, hanno detto di aver visto con i loro occhi, per la prima volta, qualcuno che accettava la morte in modo consapevole. Gli chiesero perché non seguiva i consigli dei medici e lui rispose: “Voglio sperimentare tutti i tipi di dolore, per evitare che quello della morte sia così grande da rendermi incosciente. Prima di morire voglio attraversare tutte le sofferenze; ciò può creare in me una resistenza così grande da permettermi di essere completamente consapevole quando arriverà la morte”. E per tre mesi fece uno sforzo esemplare per attraversare tutti i tipi di dolore.
Gli amici hanno scritto che una persona forte e sana si sarebbe stancata, non Ouspensky. I dottori insistevano sul riposo assoluto per evitare che si aggravasse, ma inutilmente. La notte in cui morì, Ouspensky non fece altro che andare avanti e indietro per la stanza; i dottori che lo visitarono dissero che nelle sue gambe non c’era più forza sufficiente per muoversi, e tuttavia lui camminò tutta la notte. Disse: “Voglio morire in piedi, per timore di morire incosciente, sedendomi o addormentandomi”. E sempre camminando, diceva agli amici: “Ancora un po’, altri dieci passi e sarà tutto finito. Sto per andarmene, ma continuerò finché avrò fatto l’ultimo passo. Voglio continuare a fare qualcosa fino alla fine, altrimenti la morte potrebbe arrivare mentre sono incosciente. Potrei rilassarmi e addormentarmi, e non voglio che questo succeda nel momento della morte”.
Ouspensky morì muovendo l’ultimo passo. Pochissima gente sulla Terra è morta camminando come fece lui. Cadde al suolo mentre camminava, cioè, cadde al suolo solo quando arrivò la morte. Compiendo l’ultimo passo disse: “Ecco, questo è l’ultimo passo, ora sto per cadere. Ma prima di andarmene lasciatemi dire che avevo abbandonato il corpo molto tempo fa, adesso vedrete il corpo che se ne va, ma io già da molto tempo ho visto che se n’è andato, anche se ci sono ancora. I legami con il corpo si sono spezzati completamente e tuttavia, all’interno, io ci sono ancora. Adesso solo il corpo cadrà; a me è impossibile cadere”.
Nell’istante della morte gli amici videro una strana luce nei suoi occhi: gioia, serenità e radiosità, qualcosa che si vede quando si è sulla soglia dell’altro mondo. Ma per questo è necessaria una preparazione continua. Se una persona si prepara con tutta se stessa, la morte diventa un’esperienza meravigliosa. Non esiste fenomeno più prezioso di questo, perché ciò che si rivela nel momento della morte non può mai essere conosciuto altrimenti. A quel punto la morte sembra amica, perché solo in quell’istante possiamo fare l’esperienza di esser un “organismo vivente”, non prima».
Tratto da L’immortalità dell’anima di Osho
La morte è differente, se noi siamo differenti.
Tutto ciò che vediamo e tocchiamo è l’espressione di ciò che siamo.
La causa di tutto siamo noi.
In questo modo s’impara a capire l’atteggiamento di Ouspensky, il quale non vuole assolutamente abbandonarsi alla morte come un animale o un qualunque essere umano addormentato. Bisogna saper distinguere se lo sta facendo per “non accettazione della morte” o perché vuole “cavalcare la morte in maniera consapevole”. Vuole morire da sveglio, vuole morire da vivo, mentre la maggior parte delle persone giunge alla morte che è già morta. Lui ha lottato tutta la vita per sentirsi vivo e adesso vuole godersi in piena consapevolezza la morte che arriva.
Ovviamente, è stato così anche per il suo maestro, Gurdjieff.
Salvatore Brizzi
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