Ho sempre
dimostrato un’età inferiore rispetto a quella anagrafica. La qual cosa non mi ha
sempre arrecato dei vantaggi: a 15 anni le mie compagne di classe al liceo mi
trattavano come il fratellino minore che le divertiva con le sue battute di
spirito, ma rivolgevano la loro ingordigia adolescenziale verso quelli che si
mostravano già più maturi e “svegli” sotto più d’un aspetto, per esempio quelli
che venivano a scuola con la moto, che non usavano l’ombrello quando pioveva e
non vestivano sempre la camicia con sopra il maglione coi rombi come facevo io;
quelli che alle feste si appartavano in qualche stanza con una loro coetanea
vestita di short aderenti e una maglietta che a ogni respiro si alzava e si
abbassava a ritmo regolare... un fenomeno capace di provocare episodi di licantropismo
anche in un bambino dai dieci anni in su!
Iniziando a
lavorare, prima come distributore di volantini pubblicitari nella mia città e
poi in un magazzino che trattava e distribuiva all’ingrosso i “freschi”, ossia
formaggi morbidi, mozzarelle, tomini... fino alle forme di grana e di parmigiano
intere, mi resi conto che dopo tre anni di lavoro ero ancora trattato come “quello
giovane”, cioè come se fossi sempre uno appena arrivato. Ero molto magro, ma
nonostante questo mi difendevo bene quanto allo svolgimento dei compiti anche
pesanti che ci venivano assegnati. Ma chi mostrava più maturità fisica e organizzativa
veniva considerato come un lavoratore più in gamba, anche se nei fatti ciò poteva
non essere vero.
Il fatto
che nella pausa caffè a volte mi mostrassi di fronte ai colleghi piuttosto teso
o amareggiato per non aver ancora sviscerato l’esistenzialismo presente in Essere
e Tempo di Heidegger, mi faceva perdere punti ai loro occhi in quanto maschio
alfa capace di trasportare delle forme di parmigiano (40kg ca) senza farsele
cadere sul piede. Se non ne trasportavi almeno 4 o 5 nel corso d’un turno
lavorativo non avevi diritto ad accoppiarti con le femmine della tua stessa
specie e quindi eri destinato a morire senza riprodurti. Questo atteggiamento
discriminatorio veniva considerato indispensabile al fine di non mettere a repentaglio
la robustezza fisica della prole.
Durante i
miei impieghi nel mondo dell’informatica (progettazione di siti web) la
situazione non migliorò. All’inizio nessuno mi dava mai credito e dovevo
faticare anni, producendo risultati evidentemente utili per l’azienda, per acquisire
il diritto di rivolgere la parola ai più anziani e, soprattutto, agli elementi
dell’altro sesso.
Iniziai con
il lavoro che svolgo tuttora – scrivere libri, gestire la Antipodi Edizioni e tenere seminari
– fra i 34 e i 35 anni. Il punto è che dimostravo circa 25 anni... e senza
pizzetto ancora meno, tanto che a un famoso convegno di Bologna gli organizzatori
nel vedermi arrivare mi chiesero se ero il figlio dell’autore di OfficinaAlkemica, il mio primo libro, e quando ci avrebbe raggiunti mio padre!
In quello
stesso convegno, un prete che aveva parlato prima di me, quando io entrai in
scena e cominciai a trattare di corpi sottili e di vita dopo la morte, alzò la
voce per chiedere che mi fosse tolto il microfono, perché credeva fossi uno dei
ragazzi dello staff che stava intervenendo arbitrariamente per dire un suo
parere e togliendo così spazio al relatore successivo... un alchimista... che
in realtà ero io e stavo già parlando!
Per una persona
molto giovane che vuole trattare e svecchiare certi argomenti come Alchimia, Magia
e tutta la sfera della Teosofia (Alice Bailey, Annie Besant, Leadbeater, Agni
Yoga) all’inizio non è certo stato facile, in quanto dovevo dimostrare di essere
in grado di parlare di ciò che i 65enni impegnati da anni a leggere non erano
ancora riusciti ad applicare nelle loro vite.
La tendenza
a sembrare più giovane è rimasta... anzi... si è accentuata grazie al lavoro
alchemico portato avanti negli anni. Stamattina in coda davanti al Carrefour
parlavo con un signore corpulento e ci scambiavamo pareri sulle rispettive
professioni (lui è un avvocato in pensione) e io gli ho accennato al fatto di
essere un editore indipendente che si avvale di un piccolo staff di collaboratori,
oramai da 15 anni.
«Da 15 anni? Ma
mi sembra molto giovane. Quanti anni ha lei?» mi chiede.
«Quest’anno
ne compio 50».
«Davvero? –
dice con un’espressione stupita – allora ha fatto un patto col diavolo!» e giù
una grassa risata, soddisfatto per aver detto qualcosa di originale.
Io attendo
un attimo che il suo corpo abbia smesso di scuotersi come quello di un
ballerino di rumba e poi rispondo: «No. Ho fatto un patto col Cristo».
La risata
si smorza e si trasforma nell’espressione di uno a cui la moglie ha appena detto
che partorirà otto gemelli.
«In che
senso, scusi?» chiede timoroso.
«Nel senso
che ho fatto la stessa cosa, ma con il Cristo anziché con il diavolo. Gli ho
detto che mi sarei messo al suo completo servizio, che alla mia morte lui
poteva prendere con sé la mia anima... e in cambio non mi avrebbe mai fatto
mancare nulla di ciò che è essenziale per la mia vita. Mi pareva conveniente, quindi
ho firmato».
«Non ci avevo mai pensato a questa possibilità» dice lui sorridendo.
«Beh...
ognuno prova a contattare chi sa che gli può rispondere».
Trovo quantomeno
bizzarro il fatto che venga considerata quasi normale l’espressione “fare un
patto col diavolo”, mentre è del tutto inusitata l’espressione “fare un patto
col Cristo”. Eppure, credo sia decisamente più conveniente stipulare un
contratto col secondo piuttosto che col primo. Pur di ottenere benessere materiale si stipula - talvolta inconsapevolmente - un patto col diavolo, quando invece basterebbe mettersi al servizio del Cristo per ottenere tutto il resto in aggiunta.
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