Intere
pagine di giornali e intere trasmissioni televisive dedicate al calciatore
Mario Balotelli, al quale puntualmente qualche tifoseria avversaria del Brescia
(squadra per cui il nostro eroe gioca) fa il verso della scimmia.
«Il
razzismo è solo ignoranza... le tifoserie razziste vanno punite... solidarietà
a Balotelli contro il clima di razzismo dilagante…» e via delirando. Oramai non
mi aspetto più nulla d’intelligente dai giornalisti e dagli intellettuali
italiani e non faccio loro una colpa per ciò che pensano, semplicemente vivo
quest’epoca ammirando ovunque la precisione meccanica dell’addormentamento.
Come già
succede per l’immigrazione, anche in questo caso viene chiamato razzismo ciò
che razzismo non è, al solo scopo di strumentalizzare politicamente certi
fenomeni. Di recente ho avuto uno scambio di opinioni con Giuseppe, un mio
conoscente sessantenne, un personaggio simpatico che le partite della sua
squadra le ha sempre seguite tutte, sia in casa che in trasferta. Ha un solo
difetto: è della Juve, ma confido nel fatto che con il tempo la sua anima
riuscirà a ricavare una qualità anche da questa deformità psichica.
«Ma che razzismo, il razzismo non c’entra. Non credere alla
cazzate dei giornali – ha esordito il Beppe – il tifoso va a colpire dove sa
che può colpire, dove sa che può fare male. Lo scopo del tifoso è far
innervosire l’avversario, sennò a che serve la tifoseria? Tifi per la tua
squadra, va bene, ma soprattutto cerchi di essere più stronzo che puoi con la
squadra avversaria».
«Quindi non si tratta di discriminazione razziale verso chi ha
la pelle nera?» chiedo io.
«Macché discriminazione. Sti giornalisti c’hanno tutti
trenta quarant’anni, manco sanno cos’è il razzismo. Questi allo stadio negli
anni ’70 e ’80 non ci sono mai stati. Non sanno cos’erano le tifoserie quando
gli stadi erano terra di nessuno. Se la tifoseria fosse davvero razzista
insulterebbe tutti i neri, anche quelli della sua stessa squadra. Allora sì che
sarebbe una questione di razza, di pelle. Invece non succede. Quelli della tua
squadra li applaudi. Pure un deficiente capirebbe che non è razzismo, ma tifo,
non c’entra il colore della pelle, ma solo se uno è della tua squadra oppure no».
Questo è ciò che ho sempre pensato anch’io, sebbene non sia
un frequentatore degli stadi: Balotelli non viene sbeffeggiato PER il colore
della sua pelle, bensì viene utilizzato il colore della sua pelle COME SCUSA
per sbeffeggiarlo e farlo innervosire. Del suo colore, in fondo, non gliene
frega niente a nessuno... se non a lui, che evidentemente ha un problema a
riguardo.
Gli pseudo-giornalisti (li chiamo così per non offendere la
categoria tout court, dove qualche giornalista
serio ancora si trova) forse non sanno che i cori allo stadio sono sempre stati
impietosi. Partita Barcellona-Villareal del 2014, mentre il giocatore nero Dani
Alves sta per battere un calcio d’angolo, dagli spalti piove una banana. Lui
con ironia e presenza di spirito la sbuccia e se la mangia. Dagli spalti
piovono risate e applausi. Titolo sui giornali: “Un
tifoso razzista lancia una
banana contro un giocatore dalla pelle scura”. Ma cosa c’entra
questo episodio con la discriminazione razziale? Quel giornalista sta affermando
che quel tifoso odia chi ha la pelle nera e lo considera inferiore a lui,
indipendentemente dalla squadra per cui gioca. Un’affermazione pesante.
«Il tifoso
ti vuole esasperare, ti vuole fare perdere il controllo… e sa sempre dove
colpirti, – continua Giuseppe, fornendomi una spiegazione molto pratica della
Legge di Attrazione – infatti Balotelli è uno che se la prende e diventa
nervoso. Il tifoso capisce che lì c’è un punto debole e affonda il coltello. Se
sei un professionista questo non deve succedere, sei pagato una barca di soldi
per stare lì e mantenere il controllo, non ti deve proteggere lo Stato con una
legge. Ma tu ti ricordi cosa gridavano a Baresi?»
No, non me
lo ricordo perché il calcio ho smesso di seguirlo quando ho raggiunto l’età
della ragione, ma mi sono informato. I tifosi interisti ogni domenica gridavano
sui campi da gioco: “È arrivato Weah, è arrivato Weah, e Baresi è di nuovo
papà!”. In tal modo si voleva delicatamente insinuare una “conoscenza
ravvicinata” tra il bomber liberiano George Weah e la moglie di Franco Baresi, questo
perché la coppia aveva avuto un figlio che, in quanto a colori, non somigliava
molto al campione del Milan. Questo aveva creato non poche polemiche.
«E ti
ricordi cosa gridavano a Totò Schillaci?» incalza Giuseppe.
Anche in questo caso
mi sono informato. “Schillaci ruba le gomme... Schillaci ruba le goooomme...” è
stato gridato a lungo dalle tifoserie avversarie della Juventus, in quanto il
fratello del giocatore era stato fermato dalle forze dell’ordine a seguito del
furto di alcuni copertoni per automobili. Nel 1991 i tifosi della Fiorentina
arrivarono a tirare in campo un copertone d’auto! Come si dev’essere sentito
Totò Schillaci?
Anche questi episodi – così come mille altri che accadono, e soprattutto accadevano, di continuo – avranno fatto stare male i giocatori in questione; ma quando è coinvolto il colore della pelle, il giornalista perde il lume della ragione: non è più una tifoseria cattiva... bensì una tifoseria razzista!
Per l’ennesima volta vi invito a osservare questi insidiosi
meccanismi mentali e il modo subdolo con il quale vengono utilizzati
dall’informazione. Allenatevi ad andare oltre le apparenze e a sviluppare il discernimento,
perché un giorno le questioni intorno alle quali sarete chiamati a discernere
saranno ben più importanti.
Salvatore
Brizzi
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