martedì 6 novembre 2018

Sulla velocità con cui si può ritornare a sé


In molti video musicali e nei film d’azione americani la velocità con cui si susseguono le immagini raggiunge talvolta il parossismo. Spesso, nei video come nei film, non si capisce nemmeno cosa è successo in una determinata scena. Basti paragonare un Rambo (1982) o un Commando (1985) – considerati grandi film d’azione, che all’epoca lasciavano noi ragazzi con il fiato sospeso – con un Mission Impossible di Tom Cruise o con uno 007 di oggi: le scene e i dialoghi si succedono a velocità doppia. Anche sul posto di lavoro... vi sarete accorti che si viaggia a velocità molto maggiore, a meno che non lavoriate nell’amministrazione pubblica, dove tutti i dipendenti pare abbiano frequentato un corso di aggiornamento tenuto da Eckhart Tolle e siano rimasti congelati nell’Adesso. Cercate su youtube un telegiornale degli anni ’70 e osservate la differenza di velocità rispetto ai tg di oggi. Lavoravamo più lentamente e parlavamo più lentamente, perché ascoltavamo più lentamente e pensavamo più lentamente.

Questo è già di per sé un problema, non perché il fenomeno sia sbagliato, bensì perché il cambiamento si sta rivelando più veloce della nostra capacità di adattamento ad esso. Pensare più veloce e lavorare più veloce, non implica pensare meglio e lavorare meglio, tutt'altro. Ma dove tale accelerazione si sta davvero mostrando dannosa è l’ambito spirituale: il volersi illuminare o il voler espandere la propria coscienza e il proprio cuore... alla velocità massima consentita, come se dipendesse esclusivamente dalla forza di volontà.

“Più mi alleno, più divento forte e prima posso diventare campione olimpico”. In realtà questo principio non vale nemmeno nello sport, altrimenti, per l’appunto, sarebbe solo una questione di volontà e di tempo a disposizione. Ma non è così, perché influiscono sia la predisposizione genetica che molteplici fattori psicologici; inoltre bisogna rispettare i tempi della fisiologia umana, che non possono essere alterati. La prima cosa che s’impara quando si fa sport agonistico è infatti la pazienza, non la volontà; perché di volontà un atleta ne ha già da vendere.

Ciò che vale sul piano fisico vale anche sui piani superiori: diamo per scontato che possediate la giusta volontà che serve per liberarsi dallo psico-penitenziario, dopodiché è necessario che usciate dallo schema mentale “più lo voglio, prima lo ottengo”, se non volete che il vostro percorso sfoci in una delusione o in un “repartino” psichiatrico con le pareti imbottite, perché magari i vostri centri sottili non hanno retto il vostro “desiderio di vincere” anche nel mondo dello spirito.

Per esempio, per quanto concerne gli esercizi di »ricordo di sé«, vi sarete accorti che a un certo punto vi è impossibile andare oltre; qualunque sforzo supplementare facciate per restare presenti a voi stessi, ricadete sempre nell’addormentamento. Come se incontraste una barriera. Lo stesso si dica per gli agonisti della meditazione: rilassamento, visioni, esperienze di “unità col tutto”... ma non riuscite ad andare oltre. Allora pensate che il problema sia nell’impegno insufficiente, quindi meditate per più ore, più giorni, più anni. Ma non funziona lo stesso... perché si tratta della coscienza, non di uno sport, e inoltre, come ho già detto, questo approccio non funzionerebbe nemmeno nello sport.

Se prima non sciogliete le cariche emotive che vi portate dietro da tutta la vita, non potete andare oltre. Non potete – in occidente, nel 2018 – intraprendere un percorso di risveglio che non tenga conto delle istanze psicologiche irrisolte, perché rischiate di rimanere delusi o fare disastri. E tali nodi psicologici hanno dei tempi di soluzione ben precisi, diversi per ciascuno, che non dipendono dalla “volontà di vincere”, in quanto, come già detto, che ci sia una ferma volontà di mettersi in gioco e svegliarsi, lo diamo per scontato.

Una carica emotiva irrisolta è come un blocco dove non fluisce l’energia, per cui, se forzate il passaggio di questa energia usando la volontà, rischiate dapprima di creare situazioni che andranno a corrispondere a tale forzatura (non ho risolto il rapporto con mio padre, ma mi voglio illuminare a tutti i costi, allora improvvisamente scopro che il mio partner mi tradisce!), poi dei danni sui piani sottili.

Non sto affermando che sia indispensabile andare dallo psicologo – in quanto ognuno può scegliere se e da chi farsi aiutare lungo il percorso – bensì che sia indispensabile affrontare i propri demoni. L’auto-osservazione, condotta in maniera costante e prolungata, sortisce gli stessi effetti d’una terapia; il punto è che quasi nessuno è in grado di auto-osservare le sfumature del proprio carattere, in maniera sincera e prolungata, fino a fare emergere e poi portare a scioglimento dei nodi che risalgono all’infanzia. Un terapeuta – di qualunque genere, deve semplicemente essere quello giusto per voi – in questo percorso psico-spirituale, può dare una valida mano. Buon lavoro.

Salvatore Brizzi
[Il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi]




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