sabato 25 agosto 2018

I 7 sacramenti - parte terza

Confessione con imposizione delle mani

... continua dal post precedente.

Quando accettiamo un cibo dalla mano di un’altra persona, parte del magnetismo di quella persona si mescola al nostro. Lo stesso accade se beviamo dallo stesso bicchiere o se usiamo lo stesso pettine per pettinarci. Questo è massimamente vero se il cibo è stato impregnato di vibrazioni elevate attraverso gesti e parole di potere e ci è stato offerto da un sacerdote nel corso d’una cerimonia.

L’oggetto o la sostanza rimangono come erano prima per quanto concerne i loro materiali fisici, ma la materia più sottile di cui sono composti viene profondamente cambiata durante lo sviluppo della cerimonia. Queste nuove qualità andranno ad influenzare i corpi sottili dei fedeli che stanno ricevendo il sacramento, armonizzandoli con la natura del Cristo. Tale armonizzazione sarà più o meno efficace a seconda che il partecipante sia già, nella sua condotta di vita, in armonia con tali vibrazioni sottili. In ogni caso, su tutti avrà un effetto benefico.


PENITENZA E RICONCILIAZIONE
Il sacramento della Penitenza (o Riconciliazione o Confessione) fa parte dei cosiddetti “sacramenti della guarigione”. I 7 sacramenti si distinguono infatti in: Sacramenti dell'iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione ed Eucaristia); Sacramenti della guarigione (Penitenza e Unzione degli infermi); Sacramenti al servizio della comunione e della missione (Ordine e Matrimonio).

Poiché l’ingresso nella vita cristiana, avvenuta col Battesimo e riconfermata con gli altri due sacramenti dell’iniziazione, non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato – quella che viene definita concupiscenza, ossia desiderio di appagamento delle passioni materiali –, è stato istituito il sacramento della Penitenza per la conversione dei battezzati che si sono allontanati dalla via cristiana.

Il sacramento viene istituito quando Gesù dopo la resurrezione incontra gli apostoli: «Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». (Gv 20,22-23)

Il sacramento si divide in quattro fasi: la contrizione (o pentimento), che è perfetta quando è motivata dall'amore verso Dio, imperfetta se fondata su altri motivi (la paura), e che include il proposito di non peccare più; l’esame di coscienza, dove il fedele pentito si interroga sulle motivazioni profonde che lo hanno portato a compiere certi atti (questa fase può essere svolta anche successivamente alla fase di confessione, con l’aiuto del sacerdote, che deve qui mostrarsi un buon conoscitore dell’animo umano); la confessione, che consiste nell'accusa dei peccati fatta davanti al sacerdote; la soddisfazione (o penitenza), ossia il compimento di certi atti di penitenza, che il confessore impone al fedele per riparare il danno causato dal peccato.

Questo sacramento molto si affida al livello di coscienza del sacerdote che lo amministra e alle sue doti sia di psicologo che di insegnante spirituale. Dopo la confessione il fedele prende l’impegno, dinanzi a Dio, di non ricadere nello stesso errore, ma questo non è un impegno facile da mantenere. Se infatti la misericordia divina permette l’assoluzione dal peccato commesso, nulla garantisce che il fedele non ricada nello stesso errore, se in lui non è avvenuta anche una reale trasformazione del carattere. Ecco allora che la cosiddetta penitenza amministrata dal sacerdote non può limitarsi alla recitazione di qualche Ave Maria, ma deve consistere in veri e propri atti psicomagici, ossia singole azioni da compiere o nuovi comportamenti da adottare nella vita quotidiana, di non facile esecuzione, che costringono il fedele a una trasmutazione interiore profonda, anche se apparentemente, il peccato e la penitenza potrebbero non apparire collegati. Per esempio, tu confessi di aver rubato del denaro sul posto di lavoro e il sacerdote ti dice di abbracciare forte tuo papà ogni volta che lo vai a trovare, in quanto ha intuitivamente compreso che il tuo comportamento è collegato al rapporto con tuo padre.

Alla fine dell’incontro il penitente recita l’Atto di Dolore.
Quindi il sacerdote, tenendo le mani stese sulla testa del fedele recita la “formula di potere”: «Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen».
Il penitente ripete: «Amen».

Diversi sacerdoti non usano più imporre le mani (sarebbe sufficiente la destra) sulla testa del fedele mentre recitano la formula di assoluzione, come si usava fare in origine, ma si limitano a tracciare un segno della croce nell’aria. Questa mancanza è frutto di ignoranza riguardo il funzionamento delle energie sottili, in quanto nei palmi delle mani ci sono due chakra estremamente importanti per la trasmissione delle energie. Proprio in quanto quella che avviene è una trasmissione di energia (di Spirito), l’imposizione può essere fatta anche senza contatto fisico, attraverso la grata del confessionale.

Una delle conseguenze più importanti di questo sacramento è l’acquisizione della fiducia nella misericordia divina da parte del fedele. Egli sperimenta sulla sua pelle il valore della confessione e dell’assoluzione dei propri peccati. Questo suo affidarsi alla volontà divina per ricevere il perdono, farà sì che egli stesso divenga automaticamente più predisposto ad ascoltare e a perdonare chi gli sta intorno. Chi non chiede mai il perdono a nessuno, difficilmente riesce a perdonare il suo prossimo.


UNZIONE DEGLI INFERMI
Tale sacramento è volgarmente conosciuto come “estrema unzione”, in quanto amministrato per consuetudine a chi si trova in fin di vita. Tuttavia San Giacomo, il primo a farne menzione, nella sua epistola parla chiaro: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati». (Gc. 5,14-15)

Il sacramento riveste lo specifico compito di “dare sollievo agli infermi” e non unicamente di accompagnare chi sta per andarsene. Esso trova infatti la sua origine nelle parole di Gesù: «E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano». (Marco 6,12-13)
Il Catechismo elenca tra i possibili effetti del sacramento «il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale». Si tratta quindi di un sacramento di guarigione e non di morte.

Per mezzo dell’unzione il sacerdote “apre un canale” alla grazia divina, la quale agisce poi secondo la Sua volontà e in base alle reali necessità dell’anima del malato – e non solo in base al suo desiderio di guarigione. Sarà quindi, in ultima analisi, l’anima dell’infermo a decidere in quali termini si esprimeranno gli effetti del sacramento.

Il sacerdote entrando nella casa rivolge un saluto che è anche una benedizione:
«Pace a questa casa e a quanti vi abitano».
Quindi asperge con l’acqua benedetta sia l’infermo che la stanza, recitando la formula appropriata.

Il Rito dell’Unzione inizia con la recitazione di una litania da parte del sacerdote. Al termine di questa egli impone le mani sul capo dell’infermo per qualche secondo, senza dire nulla. Questo atto serve ad armonizzare vibratoriamente i corpi sottili e li prepara a ricevere l’olio benedetto.
Dopo aver reso grazie all’olio benedetto, unge l’infermo sulla fronte e sulle mani, tracciando due segni della croce e recitando una sola volta:
«Per questa santa Unzione
e la sua piissima misericordia
ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo».
«Amen».
«E, liberandoti dai peccati, ti salvi
e nella sua bontà ti sollevi».
«Amen».

A questo punto il malato ha ricevuto in lui la grazia dello Spirito Santo ed è liberato dai peccati. È quindi pronto per morire... o per guarire.

...continua nella quarta parte.

Salvatore Brizzi
[Il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi]



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