...continua dalla prima
parte.
Nella Vita di Ignazio Teoforo, vescovo di Antiochia, che
ricevette la corona del martirio a Roma nel 107 d.C., leggiamo: “Mentre lo si
conduceva per essere consegnato alle bestie feroci, egli aveva incessantemente
il nome di Gesù Cristo sulle labbra; allora i pagani gli chiesero per quale
motivo pronunciasse continuamente quel nome. Il santo rispose che aveva il nome
di Gesù impresso nel cuore e che non faceva altro che confessare con la bocca
colui che sempre portava nel cuore. Più tardi, dopo che fu divorato dalle belve
nell’arena, avvenne per volontà di Dio che il suo cuore restasse intatto fra le
costole. Gli infedeli che lo trovarono tagliarono il cuore in due parti per
verificare l’esattezza delle parole del santo. All’interno, sulle due metà,
trovarono un’iscrizione a caratteri d’oro: Gesù Cristo.”
Questa è la “preghiera di Gesù” che gli asceti cristiani
delle origini avevano sempre sulle labbra:
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore.
Il termine “peccatore” non va inteso come comunemente
facciamo oggi. Il peccatore non è qualcuno che ha commesso un atto sbagliato,
bensì colui che si è allontanato da Dio. È un peccatore colui che è “caduto”,
che si è distaccato dal Padre, che non si sente più un tutt’uno con Lui... e
per questo in verità soffre atrocemente.
Nel momento in cui ci allontaniamo dal Padre – dal nostro
Cuore – ogni nostro agire è in verità peccaminoso e intriso di dolore, al di là
del fatto che ce ne rendiamo conto o meno. Il “peccato originale”, cioè, in
ultima analisi, il giudizio – il fatto che a un certo punto abbiamo cominciato
a distinguere fra bene e male, giusto e sbagliato – pur essendo un processo
necessario, ha inevitabilmente causato la nostra “cacciata dal Paradiso
Terrestre” e quindi l’allontanamento dal Padre. Il giudizio, il nostro puntare
il dito verso ciò che riteniamo “male”, è il vero peccato.
Il sentirsi soli e lontani dal Padre è una situazione che
provoca rabbia e depressione, i due demoni di cui parlavo nel precedente post.
La distanza dal Padre causa ed è causata dal giudizio, il quale provoca alternativamente
rabbia e mancanza di voglia di vivere. Il pentimento
– quando sentito nel cuore – permette invece di percorrere la risalita verso la
“casa del Padre”. La preghiera è lo strumento che ci è stato tramandato.
Dice Serafim di Sarov in Istruzioni spirituali: “Dobbiamo
dedicarci con tutte le nostre forze a salvaguardare la pace dell’anima e a non
indignarci quando gli altri ci offendono. Non vi è nulla al di sopra della pace
in Cristo, grazie alla quale vengono annientati gli assalti degli spiriti del
cielo e della terra.”
“La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte
di sangue e carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di
questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano le regioni
celesti” (Ef 6.12).
La preghiera viene chiamata “della mente” quando è recitata
dalla mente con profonda attenzione e con la partecipazione marginale del
cuore. È detta “del cuore” quando è recitata dalla mente unita al cuore, ossia
quando la mente scende fino al cuore e innalza la preghiera dal profondo. A questo
punto il fedele si sente cosciente principalmente al centro del petto, dove
risiede il Fuoco, anziché nella testa. La preghiera viene chiamata “dell’anima”
quando sgorga da tutta l’anima, con la partecipazione dello stesso corpo;
quando viene offerta da tutto l’essere che diventa, per così dire, il portavoce
della preghiera. L’identificazione ultima con l’anima permette infatti la
partecipazione completa anche del corpo.
“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Ecco il
primo comandamento” (Mc 12.30; Dt 6.5)
Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
Della preghiera di Gesù e dei Padri del Deserto tratto nel
mio breve testo: Risvegliare
la macchina biologica per utilizzarla come strumento magico; ma credo che
in futuro scriverò qualcosa d’altro sulla preghiera, poiché c’è molto bisogno
di approfondire l’argomento.
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