...prosegue dal post precedente.
Nella mia vita ho conosciuto giusto tre o quattro individui
in possesso di un Ego integrato, i quali hanno ottenuto questo traguardo dopo
anni di lavoro sull’autosservazione, la Presenza, la disidentificazione, il non-giudizio,
ecc. Sono persone equilibrate, con un Centro interiore ben sviluppato, che non
provano più emozioni negative e capaci di amare il prossimo. E solo da queste
persone posso accettare un discorso che riguarda la necessità di andare a
sciogliere alchemicamente l’Ego, rivelandone un giorno l’illusorietà. In quanto
loro un Ego ce l’hanno davvero. Sono cioè capaci di vera Volontà e di libero
arbitrio.
Tutti gli altri semplicemente non hanno un Ego, – anche se,
ovviamente, credono di averlo – non hanno un Centro, ossia iniziaticamente non
hanno ancora sviluppato un »padrone di casa«, ma invece di ammetterlo e
iniziare a lavorare onestamente per ottenerlo, si riempiono la bocca di
discorsi che hanno letto sui libri di neo-advaita, dove si racconta che
l’illuminazione può accadere a chiunque e in qualunque momento... anche mentre si
sta facendo la cacca.
Attraverso queste nuove filosofie new-age, che fanno un
sincretismo di concetti raccolti a destra e a manca, si portano le persone a
credere di possedere sul piano psicologico qualcosa che invece non hanno e
addirittura li si invita a distruggerlo per ottenere una fantomatica illuminazione.
Ma non si può distruggere, o anche solo “superare”, qualcosa che non si ha, e
attualmente le persone sono solo un’accozzaglia di pensieri ed emozioni senza
un Centro psicologico coordinatore.
“Il tuo Ego non esiste, per cui non puoi distruggerlo, devi
solo realizzare che c’è stato sempre solo l’Uno.” Affermano i seguaci del
neo-advaita. Siamo tutti d’accordo sul fatto che questo Ego non esista (lo
diceva anche Gurdjieff), ma mentre in un Percorso Iniziatico regolare ti viene
insegnato come costruirlo, in questa filosofia che va per la maggiore oggi non
ti si permette di costruirlo, anzi, questa viene considerata un’eresia che
rischia di allontanarti per sempre dall’Uno (ma non era già tutto Uno?).
Ma allora che genere di realizzazione hanno ottenuto questi
personaggi neo-advaita che raccontano di essersi illuminati mentre facevano la
cacca? Essi riportano tutti concetti simili: non esiste l’Ego, non esiste
l’anima, non c’è nulla dopo la morte, esiste solo l’Uno e una volta che ci si
fonde con l’Uno, si scompare. E tutto questo per loro è effettivamente vero. Per il semplice motivo che loro
sono fulminati e non illuminati. E
qui veniamo al punto. Mi spiego meglio:
loro hanno ottenuto quel genere di illuminazione che consiste nel regredire
allo stadio di Uno primevo senza aver completato la formazione psicologica
dell’Ego, del vero individuo. La conseguenza di tale evento è che loro non
“cavalcano la tigre”, non entrano nell’Uno in piena consapevolezza, ma vi si
perdono dentro annullandosi in esso.
In un autentico Percorso Iniziatico magico/alchemico il
discepolo deve costruire un Ego perché questo gli consentirà un giorno di identificarsi con l’Uno, non di
perdersi in esso. E qui sta l’abissale differenza fra l’essere un fulminato o
un illuminato. Dal momento che, come si afferma giustamente anche nell’Advaita,
l’essere umano non ha un Ego di partenza, ma crede solo di averlo, il Percorso
prevede la sua costruzione, al fine di diventare “consapevole di sé”. Una volta
divenuto un essere consapevole, un vero Io, allora l’individuo compie il grande
“sacrificio di sé” (ma adesso ha qualcosa da sacrificare) e abbandona questo Io
individuale per entrare nella Consapevolezza assoluta dell’Uno. Il risultato
finale del percorso magico è sempre stato e sarà sempre il Mago, ossia l’Io
Assoluto, l’Uomo/Dio. La goccia non si perde nell’oceano, bensì diviene
consapevole di essere l’oceano stesso. Una differenza piuttosto importante...
quando la goccia sei tu.
In un Percorso regolare, che prevede sforzi e prove, nulla
va perso di ciò che l’uomo ha compiuto incarnazione dopo incarnazione, infatti
si parla d’immortalità e di tappe iniziatiche. Nella filosofia Advaita – che
era adatta all’essere umano più antico, il quale non era ancora in grado di
divenire consapevole di sé – tutto va perso, nel senso che l’individuo fa
marcia indietro, scompare per sempre, non si reincarna e perde la coscienza di
sé, la coscienza di essere mai vissuto come entità separata dal Tutto.
Spero di aver portato chiarezza su un punto quantomai
importante e tuttavia trascurato più o meno da tutti.
Salvatore Brizzi
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