La ricerca della Felicità può essere condotta in due modi:
-- attraverso la quantità, ossia nello spaziotempo;
-- attraverso la qualità, ossia nell’eternità.
Il nostro mondo è organizzato sulla ricerca d’una finta
felicità, fondata sui canoni classici dell’essere felice: il calciatore, la velina,
il denaro, la bellezza fisica, la salute, l’intelligenza intesa come
nozionismo...
La ricerca di questo tipo di felicità è un miraggio, è
irraggiungibile per definizione. Vi spiego perché: se il mio essere felice
dipende da uno status sociale, da qualcosa che ho o da qualcuno che mi ama, nel
momento in cui li perdo smetto di essere felice. La mia vita diviene allora una
ricerca continua di gratificazioni esteriori, la ricerca di situazioni che non
mi facciano mai percepire il mio vuoto interiore. Ma dal momento che tutti noi
siamo “condannati” a una felicità eterna e inamovibile, la nostra evoluzione
passa proprio attraverso l’accettazione e il superamento di quel vuoto
interiore.
Succede allora che ogni felicità legata alle gratificazioni
della personalità non è che sia sbagliata, ma semplicemente è destinata a
scomparire. Quando ci accorgeremo che ogni genere di gratificazione acquisita
nel mondo della quantità non può che essere effimera, ossia soggetta al tempo e
allo spazio, allora ci rivolgeremo a un differente genere di felicità,
aspaziale e atemporale. È dunque indispensabile che rimaniamo continuamente
delusi dal finto appagamento, quello che serve solo a non fare emergere temporaneamente
il vuoto.
Cos’è un handicap? Per esempio, essere non-vedente è
considerato dalla nostra società un handicap. Questo accade perché la cecità
nell’attuale società viene relegata tra i fenomeni contrari alla felicità. Un
handicappato, secondo le nostre idee bacate, è uno sfigato, perché
evidentemente non può giocare a calcio e non può fare la velina!
Un cieco e un ragazzo sulla sedia a rotelle non sono più
competitivi all’interno del sistema!
Nella maggioranza dei casi loro stessi hanno questa visione
di sé, per cui si sentono infelici in quanto non sono più competitivi secondo i
canoni della società dei consumi... e magari fanno di tutto per tornare a
essere competitivi, cioè per tornare a essere come gli altri... che in realtà
sono i veri sfigati.
Di norma proviamo pietà per chi è disabile, in quanto lo
consideriamo come qualcuno che dovrà vivere una vita di serie B. L’handicappato
potrà solo rassegnarsi a vivere una vita da sfigato e non potrà più trovare la
vera felicità, quella data dall’apparenza!
A nessuno viene in mente che una persona con una disabilità
potrebbe essere forzata a guardarsi dentro più di chiunque altro... fino a
scoprire dove si colloca l’autentica felicità, la vera “abilità interiore”,
quella non più condizionata dalle circostanze dello spazio e del tempo.
Potrebbe allora paradossalmente riconoscere di essere “abile a vivere” più
degli altri – nel QuieOra – e scoprire la totale disabilità interiore di coloro
che invece si considerano abili e si permettono di provare pietà per lui.
Le nostre condizioni di vita sono le migliori che possiamo
desiderare, ma vanno viste in un altro contesto, in un paradigma evolutivo, non
più all’interno della dicotomia sfigato/fortunato. Essere non-vedenti, per
esempio, oltre a una riflessione più profonda riguardo il significato della tua
vita, ti porta ad acuire una diversa sensibilità, un concetto totalmente
differente del “vedere” che ti porterai dietro per il resto della tua esistenza
animica.
Una vita da cieco all’interno dell’esistenza dell’anima (che
dura milioni di anni), è come passare per gioco un giorno con gli occhi bendati
all’interno della vita terrena!
Ti costa fatica, ma sai che dura poco e sai che finirà.
Cosa ci portiamo dietro quando perdiamo il corpo fisico? L’amore,
la tenerezza e la compassione non ce le portiamo dietro come oggetti dentro una
valigia. Bensì arriveremo nell’aldilà RIVESTITI di queste emozioni superiori.
La tenerezza con cui abbiamo vissuto sarà divenuta il nostro corpo e i nostri
sensi sottili. Se abbiamo perdonato sulla Terra, nel nostro aldilà il Perdono
sprizzerà da tutti i paesaggi e da tutte le persone che ci circonderanno, ma se
non avremo perdonato, anche se saremo in paradiso, i fiori non profumeranno di
Perdono e le persone non emaneranno Perdono.
Il paradiso e l’inferno sono solo rappresentazioni di ciò
che siamo stati sulla Terra, delle qualità che abbiamo acquisito con
l’esperienza e con gli errori e di quelle che abbiamo rifiutato di sviluppare
con la nostra ostinazione. La vita ci consegna a ogni frazione di secondo le
lezioni che più ci servono. Se viviamo una vita dove nessuno si occupa di noi,
oppure una vita dove qualcuno si deve occupare di noi 24ore su 24, perché magari
ci troviamo dentro un polmone d’acciaio, possiamo stare certi che nelle vite
future saremo i primi a correre in aiuto di chi ha bisogno. Abbiamo sviluppato
una sensibilità che altri non avranno mai.
Invece una vita del genere di norma la vediamo come una vita
da sfigati!!!
Restare, ad esempio, paralizzati in un letto e poter muovere
solo gli occhi...
Pensate a quante cose non si danno più per scontate...
Pensate a quante cose non si possono più dire...
Prima parlavamo in continuazione per dire solo cavolate,
mentre adesso possiamo solo sperare che qualcuno ci faccia la domanda giusta,
perché noi possiamo rispondere solo con un sì o con un no.
Vi immaginate quali capacità si possono sviluppare in queste
condizioni? Sono davvero sfigate queste persone? Un mese... un anno... dieci
anni... in un letto d’ospedale e il senso della vita diventa chiarissimo!
Una passeggiata nel giardino dell’ospedale diventa una
passeggiata nel Paradiso Terrestre!
Fino a quando avremo bisogno di scendere nelle Tenebre della
vita per vederne la Luce?
Salvatore Brizzi
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(non vengo condotto, conduco)
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Salvatore BRIZZI ormai da un anno NON HA ALCUN PROFILO SU FaceBook.
Invece ne abbiamo aperto uno bellissimo su Pinterest
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2012
Giovedì 19 Luglio a ROMA –Conferenza del PIN
Domenica 22 Luglio a ROMA –Risveglio, parte 3
Per ulteriori info su corsi e seminari: www.primoraggio.it
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