giovedì 28 ottobre 2010
Advaita Vedanta e »sforzo« – parte I
Talvolta mi capita di conversare con sostenitori della moderna Advaita Vedanta. Dal momento che per loro ogni essere umano è già l’Uno in questo istante, ritengono sia assurdo intraprendere ogni sorta di cammino spirituale volto a ricongiungersi con l’Uno stesso.
“L’illuminazione non può essere ottenuta con una pratica – è la sintesi del loro pensiero – essa accade spontaneamente quando l’ego illusorio interrompe la ricerca illusoria.”
Ogni »sforzo« teso alla liberazione viene pertanto rigorosamente bandito dalla tavola di coloro che seguono questo genere di Advaita. Fin qui non ci sarebbero problemi, senonché, ciò che salta subito all’occhio, è che tali sostenitori scadono troppo frequentemente nel fanatismo e nell’insofferenza verso chi segue un altro percorso. Presi da una sorta di delirio anti-lavoro-su-di-sé cominciano ad avere in antipatia chi si dedica quotidianamente a un cammino di crescita interiore più articolato. La loro attività prediletta diventa quindi mettere in cattiva luce i maestri che istruiscono il mondo attraverso concetti come »sforzo«, miglioramento, crescita, lavoro per il risveglio, fabbricazione dell’anima. In un colpo solo vorrebbero annichilire gli insegnamenti di Gurdjieff, E.J. Gold, Eckhart Tolle, Douglas Baker, tutta la tradizione dell’Alchimia, della Gnosi e dell’Esoterismo in genere...
Anche io mi ritengo un estimatore di tale dottrina, ma non posso fare a meno di rilevare che alcuni fra i sostenitori dell’Advaita Vedanta sono più esagitati e intolleranti degli ultras di una squadra di calcio.
Innanzitutto voglio precisare che nel corso dell’articolo mi riferirò alle persone che seguono l’Advaita e agli illuminati dell’Advaita, molti dei quali sono viventi anche oggi (al proposito si veda il prezioso dvd Il Fiore del Nirvana), non alla dottrina dell’Advaita Vedanta tradizionale in sé, in merito alla quale anche io sono piuttosto ignorante. Per esempio, non so cosa dice l’Advaita in fatto di anima, ma so che gli odierni guru dell’Advaita negano l’anima e la vita dell’anima dopo la morte.
Premetto che il primo libro di argomento spirituale che lessi, nel lontano 1996, fu Nessuno nasce, nessuno muore di Nisargadatta Maharaj, adesso introvabile. I discorsi di Maharaj sono Advaita puro, forse il più puro in circolazione. Nisargadatta è per me ancora oggi un mito insuperabile.
Quando lo lessi sentii subito di essermi accostato a qualcosa di estremamente elevato e radicale allo stesso tempo, qualcosa che non lasciava spazio alla masturbazione mentale tipica dell’intellettuale o del “turista spirituale”.
Qui si diceva che tutto è Uno, che l’ego non può essere ucciso perché già adesso non esiste e che non è possibile intraprendere un percorso spirituale in quanto non ci può essere una via che ti conduce dove sei già, né un lasso di tempo utile per farti raggiungere questo momento presente!
È la via-senza-via illustrata anche nel Tao e nello Zen, laddove anche questi insegnamenti vengano presi nella loro accezione più pura.
Tutto molto bello. Poi andavo a lavorare e continuavo a soffrire di depressione. La mia fidanzata mi lasciava e io mi sentivo squartato nel plesso solare. Però io e il mio lavoro eravamo comunque uno e io e la mia fidanzata eravamo comunque uno. Già... lei era uno con me... ma adesso se la scopava un altro!
Andai avanti così per qualche mese, poi riflettei e mi resi conto di una cosa: lo scarto fra me e l’Advaita era troppo grande. Sebbene l’Advaita affermasse la verità più profonda, a me, ragazzo di 25 anni che viveva una normale vita quotidiana... non era di alcuna utilità! Fu un bagno di umiltà, ma dovetti ammettere sinceramente che quello che veniva e viene considerato l’insegnamento spirituale più elevato... l’insegnamento ultimo, oltre il quale non si può concepire più nulla... non era adatto a me.
Se un maestro vi dice: “Tu sei Quello. E non puoi fare nulla per realizzarlo perché lo sei già.” O vi illuminate seduta stante... oppure quell'insegnamento non è per voi pratico, è solo filosofia. Il giorno dopo sul lavoro siete incazzati come prima, se non di più, perché adesso avete la certezza che la vita è una presa per il culo, ma non vi è permesso fare nulla di concreto per cambiare la situazione.
Non è un caso che gli advaitin da me conosciuti siano tutti abbastanza aggressivi e frustrati. Da una parte si impongono di non compiere alcuno sforzo in direzione dell’illuminazione, perché hanno paura così di allontanarla, e dall’altra si rendono conto che nella vita quotidiana stanno male come chiunque altro... con in più la paranoia dell’illuminazione... che sarebbe magnifico ottenere, ma non si può fare nulla per ottenerla!
Non volendo ridurmi così anch’io, decisi che avrei scoperto il trucco. Avrei cioè appreso come riempire quel vuoto ontologico che mi separava dall’Uno, pur essendo io consapevole della mia identità con quello stesso Uno che andavo cercando.
Venni così a contatto con varie fonti esoteriche e alcuni personaggi decisamente “svegli”. In alcuni luoghi viene ancora tramandata una Conoscenza senza tempo, una »conoscenza scientifica« dell’Essere a 360gradi, per la quale l’Advaita e lo »sforzo« non sono in antitesi. Un tempo erano i RosaCroce e più di recente la Quarta Via esposta da Gurdjieff.
Qui finalmente trovai tutte le spiegazioni.
L’essere umano può dedicarsi alla Conoscenza Ultima solo dopo aver percorso alcune tappe ben precise, alle quali non può sottrarsi, pena la non riuscita della Grande Opera oppure una sua riuscita imperfetta. Detto in altre parole, se prima non mi dedico con tutte le mie forze alla costruzione di un Io cosciente, cioè di un vero Ego – ciò che nella religione viene definito Anima – non potrò in un secondo tempo sacrificare quello stesso Ego per identificarmi con l’Uno.
In Teosofia Ego e Anima sono sinonimi e indicano entrambi l’autocoscienza tipica dell’essere umano, ma non di tutti gli esseri umani e sicuramente non nella stessa misura in ciascuno di essi.
Qui sta la chiave di tutto, e qui è l’origine di tutte le malcomprensioni spirituali.
Il RISVEGLIO (costruzione alchemica dell’Io, cioè dell’anima immortale - uomo nr. 5 per la Quarta Via) e l’ILLUMINAZIONE (identificazione della goccia con l’oceano - uomo nr. 7 per la Quarta Via) sono due fasi ben diverse del Cammino e corrispondono a due stati di coscienza ben definiti che non possono venire confusi.
Con troppa facilità alcune “scuole” spingono i loro discepoli ad abbandonare o uccidere l’ego... quando questi un Ego ancora non ce l’hanno. L’Ego – cioè un Io unitario e integrato – è una faticosa conquista, non un diritto di nascita. Ciò che di norma il “turista dello spirito” chiama ego, non è altro che un mucchio di pensieri ed emozioni non coordinati, caotici e non controllati. Ma l’essere umano in questo stato semplicemente non è NIENTE... è solo un insieme di meccanismi!
Solo quando si sveglia diventa Qualcuno.
Quando è sveglio ed è Qualcuno, allora può compiere il Grande Sacrificio e completare la Grande Opera, può cioè decidere di morire consapevolmente, crocifiggendo quell’Ego che aveva così faticosamente edificato grazie a un costante »sforzo«.
Questo è il motivo per cui intorno a questi illuminati ci sono centinaia di persone... ma nessuno illuminato come loro. Un orologio svizzero (cioè un essere pieno di meccanismi), uno zombie, un addormentato, non possono improvvisamente identificarsi con l’Uno. COSA in loro si identificherebbe con l’Uno? Devono prima necessariamente svegliarsi. E una volta svegli – tra l’altro – possono anche decidere di non compiere l’ultimo grande salto nel Vuoto e continuare a godersi la vita da svegli.
Massimo rispetto per chi invece una volta sveglio decide di rinunciare a sé.
Nella quasi totalità dei casi i sostenitori dell’Advaita Vedanta semplicemente praticano tanta meditazione ma non ottengono nulla, se non qualche esperienza mistica, che però si sottrae al loro controllo cosciente... proprio in quanto non sono svegli e non conoscono il funzionamento della loro »macchina biologica«. In alcuni casi invece può accadere che la (segretamente) agognata illuminazione in effetti sopraggiunga.
A questo punto i danni che il discepolo può accusare sono inversamente proporzionali al suo grado di risveglio, cioè all’integrità raggiunta dal suo Io. Se in questa vita o in vite passate egli ha comunque svolto un parziale lavoro di integrazione, allora potrebbe non subire grosse menomazioni psichiche e dedicarsi a una dignitosa esistenza da guru per il resto dei suoi giorni, irradiando la Luce dell’Uno intorno a sé. Dopo la morte del corpo fisico però, non essendosi svegliato, non avendo cioè fabbricato un’anima immortale, scomparirà per sempre fra le braccia di Dio. Tale è il motivo per cui alcuni di questi illuminati negano l’anima, la reincarnazione e in generale la vita dopo la morte. Stanno parlando di se stessi.
Se il lavoro d’integrazione dell’Io non c’è stato o è stato minimo, le conseguenze dell’illuminazione – cioè della risalita di kundalini – sono imprevedibili. È come mettere le dita bagnate in una presa di corrente. Si va dai danni psichici a quelli fisici, fino alla morte. Un viaggio con l’acido che non termina mai.
La sottile ma enorme differenza fra illuminati e fulminati.
Sono sicuro di aver portato un po’ di ordine nel caos.
Continua...
LE MIE PROSSIME DATE:
14 Novembre – FOLIGNO – LA VIA DEL MONACO-GUERRIERO
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21 Novenbre – ROMA – LA VIA DEL MONACO-GUERRIERO
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È un seminario di una giornata nel corso del quale leggo e commento alcuni brani tratti dal Vangelo.
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Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
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