Questa iscrizione si trova all’ingresso del cimitero di
Sarno (Salerno):
Chiesi a Dio di essere
forte per eseguire progetti grandiosi ed egli mi rese debole per conservarmi
nell’umiltà.
Domandai a Dio che mi
desse la salute per realizzare grandi imprese ed egli mi ha dato il dolore per
apprezzarla meglio.
Gli domandai la
ricchezza per possedere tutto e mi ha lasciato povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere
perché gli uomini avessero bisogno di me ed egli mi ha dato l’umiliazione
perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto
per godere la vita e mi ha lasciato solo la vita perché io potessi essere
contento di tutto.
Signore, non ho
ricevuto niente di quello che chiedevo, ma mi hai dato tutto quello di cui
avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non
feci furono esaudite.
Sii lodato mio
Signore, perché fra tutti gli uomini nessuno possiede più di quello che ho io.
La preghiera è stata scritta da Kirk Kilgour (1947-2002) e
da lui recitata in piazza San Pietro a Roma davanti a papa Giovanni Paolo II.
Kirk Kilgour è un atleta americano campione di pallavolo, giocatore di serie A
in Italia, che nel 1976 a causa di un incidente in allenamento resta
paralizzato ai quattro arti in maniera irreversibile. Tra le varie attività a
cui si dedicherà nella sua nuova vita spicca quella di “motivatore”, insegnava
cioè sia ad altri tetraplegici che ai cosiddetti normali come affrontare
l’esistenza! Lui... che non poteva più muovere né braccia né gambe.
Potrei commentare questa vita eccezionale, invece vado
avanti e raddoppio con un’altra vita eccezionale. Io non ho paura è il titolo del libro che racconta la storia di
Francesca Pedrazzini, 38 anni, insegnante di diritto, tre figli di 10, 7 e 3
anni. A loro e al marito dirà, prima di morire di cancro (nodulo al seno e poi
metastasi a fegato e ossa): “Il tempo è prezioso. Io non ho paura. Sono
contenta”.
Quando Francesca ha capito di essere alla fine ha detto al
marito di non preoccuparsi “perché io sono in pace, sono certa di Gesù e
curiosa di vedere quello che mi aspetta”. Ha baciato i suoi bambini
accarezzandoli: “Vado in un posto bellissimo, da Gesù. E quando sarò lì, dovete
fare una festa”.
Senza paura, contenta, curiosa... certa!
Cosa ha permesso a Francesca Pedrazzini di morire così? Se
si può trattare la morte – che è la
paura alla base di tutte le paure – in questo modo, allora si può affrontare
qualsiasi circostanza della vita con lo stesso coraggio eroico.
Il punto è che ho sentito dire fin troppe volte: “Io non ho
paura di morire, ma ho paura di perdere i miei cari... ho paura di diventare
povero e non poter mantenere la mia famiglia... ho paura di restare su una
sedia a rotelle... (che è poi ciò che è successo a Kirk Kilgour)”. Ogni piccola
paura è però la paura che muoia una parte di noi, della nostra identità. La
paura è sempre paura di morire, ma non concerne l’estinzione del nostro corpo
fisico, bensì i nostri attaccamenti mentre siamo ancora in vita: i parenti, la
salute fisica, l’abbandono del partner.
Una delle prerogative delle antiche scuole esoteriche
consisteva nell’insegnare a morire. Non si trattava di sterili “meditazioni
sulla morte” in stile new age, ma di far emergere volutamente aspetti del
proprio carattere nel corso della vita di comunità, per poi far morire – o
“passare a miglior vita”, ossia trasmutare – quegli stessi aspetti, causa di
sofferenza e malessere.
Per mezzo dell’autosservazione quotidiana e della Presenza
applicata in maniera costante ai momenti in cui emergono le emozioni negative,
a un certo punto diviene possibile individuare quella che possiamo definire
come “caratteristica principale” o “debolezza principale” o “reazione cronica” della
personalità, ossia il modo consueto utilizzato dalla personalità per difendersi
dallo stato di veglia. Questo meccanismo reattivo si manifesta nel comportamento, nelle posture abituali (quando mangiamo, quando parliamo, ...), nelle espressioni facciali, nei modi in cui ci innamoriamo, nelle fattezze fisiche di coloro di cui ci innamoriamo, ecc.
Se chiedessimo all’uomo medio che si aggira compiaciuto tra
la folla dell’Ikea qual è lo scopo della sua esistenza, qualunque risposta egli
dia (viaggiare, mettere su famiglia, fare sesso con tanti partner, cantare a
x-factor, ecc.) la risposta autentica che è sottesa a tutte le altre è una sola:
“L’intero scopo della mia esistenza è trovare modi sempre nuovi per mantenere
lo stato di addormentamento della mia macchina biologica”.
Un individuo può dirsi “sul sentiero” non quando muta questo
suo agghiacciante scopo – il che avviene, in maniera reale e non solo
intellettuale, molto più avanti – ma quando questo suo scopo mirante al sonno
diviene consapevole. Allora, in un contesto di lavoro su di sé, ogni volta che
emerge la sua “reazione cronica” (rabbia, nel 90% dei casi, oppure una
qualunque paura legata a qualche trauma dell’infanzia) egli potrà dirsi: “Ci
siamo! Se è entrata in gioco la mia reazione cronica significa che sono
prossimo allo stato di veglia. Non devo disperdere energia, ma restare in uno
stato di massima Presenza, se voglio scorgere il portale quando mi si presenta...
e attraversarlo”.
Per cui, la prossima volta che vi troverete faccia a faccia
con la vostra emozione negativa ricorrente, ripensate a questo articolo e
ditevi: “Io non ho paura!”.
Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)
(occupazione: domatore di fiumi)
Vi ricordo che i due articoli dove meglio spiego nei
dettagli la pratica del lavoro su di sé restano:
e
Gli argomenti di questi due post vengono approfonditi
nel video:
L’ALCHIMIA INCONTRA LE NEUROSCIENZE
a questo link
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